Poemas compilados e publicados em Irminsul. Lucca: Maria Pacini Fazzi Editore, 2014.
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Sfiora il Silenzio
Irrompe
nell’aria
un segreto
un fruscìo
d’arbore
assonnata
una storia
sprovvista
di nomi
foriera
del domani
che non sai
Irrompe
la voce
del silenzio
e presto
un’ansia
si diffonde
nel tempo
fuso
del non-ancora
E sfiora
quel silenzio
il centro delle cose
e brucia
come torcia
lungi del tramonto
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Indugio
Inselvata
la città
del silenzio
sperduta
sotto la volta
del meriggio
introflessa
nelle
viscere del tempo
Morde
attira
e sgomenta
onde
riaversi
nel fervido
destino
dal suo
perenne
indugio dei contrari
(Caccia
che s’affaccia
sulle spoglie
del tempo)
Ed oltre il
non visibile
di pietra muro
arde
un fil di speme
arde
nei ruderi
della città
una vita
alfin risorta
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Forisportam
a Giuseppe Conte
Nel vuoto
circolare
delle mura
sciolto di
ripieghi
e di ricordi
non sai
nulla del mondo
Le mura
ti racchiudono
e ti
rendono
un essere
fuor del
tempo e della
storia
scialbo
e forisvitam
sagoma
visibile
di non visibil
sagoma
tra i lumi
smorti
del fillungo
E tu
crudel città
cinta
di mura
altera
quale sfinge
di pietra
irrevocabile
rifiuti
come larva
il suo dolore
Città
e non città
creato
e non creato
si scagliano
l’un l’altro
sotto
l’aspra
negazione
al ruvido
silenzio delle mura
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Primo Buio
Il senso
s’immilla
in altri sensi
e il nome
s’innesca
in altri nomi
Tra le guglie
irrevocabili
del mondo
muove
la terra
il cielo
in gran sussulto
Il tempo
ti si strappa
dalle tempie
e slarga
l’orizzonte
al primo buio
Tu sogni
insospettabili
parvenze
in questa
notte immemore
di pace
Ma il senso poi
s’immilla
in altri sensi
e il nome
verso il nulla
si sprofonda
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Dentro Me
a G.B. Squarroti
Dove
trovarti
o mia città fatale?
in qual
gentil rivera
o gracil sogno
il tuo volto
impalpabile
e perduto?
Forse
nella maremma
ti nascondi
nei miei
recessi
di brughiera
oppure
ti protendi
verso il regno di catai?
D’esilio
e ippocastani
i tuoi confini…
lahsa
nella nebbia
avviluppata
djabolsa
sorvolata
dal simurg
città fiorite
come quelle di
ariosto o rabelais
Eppur
nessuna
t’indovina
o lucca
dentro me
non quella
fisica
di pietra
o sangue
ma
lucca
dentro me
che mi sente
mi prova
e mi vede
Terra
di sangue
e di pietà
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Splendor Verbis
Beata
e sola
dai legami sciolta
Ilaria
amasti un dì
e amata
fosti
Le tue
labbra
piene di brezza
il corpo
riarso
di passione
Dalla fiamma
del tuo
sguardo
sorgean tuoni
e lampi e mari
ed ombra
Beata
e sola
dai legami sciolta
Come terra
di pioggia
inumidita
Riarsa
la tua
perduta carne
più volte
dai legami
sciolta
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Oblivion
Niente
saprai nel tuo
perenne oblio
che
si protende
da nulla
a nulla
Beata
e fertile
di morte:
con essa
ti congiungi
e godi
l’amplesso
del beato
nulla
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Nudità
Ed io ti svesto
prima che il tempo
ingordo
di tua beltà ti svesta
Bacio
le tue soavi
gote
i seni
ascosi
come
augelli
al nido
Il madido
fior del tuo
segreto
Sublime
gioia
e rio dolore
Così ti svesto
prima che il tempo
ingordo
di tua beltà ti svesta
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Doctor Pacificus
a Ettore Finazzi-Agrò
Quanto
è ruvida
la scelta
l’essere
analogo
che ti dice
di sì
e di no
Ti chiedo:
penne
all’arrabbiata
o pollo
alla diavola?
E tu
rispondi:
a Lei
doctor pacificus
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Notte Bianca
Più
chiara
più fina
e più
soave
la notte
bianca
di casablanca
Più
rara
più
grave
e più
vicina
la notte
bianca
di casablanca
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E.l Jardis
Ai las
oscur
de peiras
mi cami
de greu perilh
de pena
de dolor
Par deus
ma bella domna
regardatz
la noit can
e.l jardis
dor a celat
l’aur del
sons ca deman
vostra parvenssa
ala fontana
on dobla
mos afan
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Il Giardino
Ai lasso
oscur
di pietre
il mio cammin
di gran periglio
pena
e rio dolor
o mia signora
alfine
ascoltate:
il giardino
assonnato
di notte
non fa
che sospirar
vostra parvenza
al fonte
ov’è più grave
il mio dolor
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Ponte del Diavolo
a Luciano Bonuccelli
Muovesi
pien di sonno
il palafren
tra cielo
e terra
tra buio
e buio
Ma segue
intatto
e indifferente
il cavalier
che mai non resta
a traversare
i bronchi
e le macerie
le morte
polle
e le stecchite
piante
ché
un’ombra
s’agita
nel cuor…
Al suon
dell’alba
che tutto scioglie
già non
si scioglie
il suo dolor
E segue
tapinando
il cavalier
di notte
in notte
di valle
in valle
a ricercar
quell’ombra
d’esilio
e di silenzio
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Divario
Se mi
cerchi
mi sperdo
se ti
sveli
mi nascondo
Un sol
divario:
la nostra
appartenenza
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Senso
Mille
oscuri
abissi
e mille
e mille
non bastano
per rendere al volto
il suo mistero
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Marinaio
Also führ das Schiff allein aus, und sein Kapitän war
das grosse braune Kruzifix
Kasimir Edschmid
O cristo
crocefisso
capitano
o tu pietoso
ulisse di maremma
riportami
a quei liti
sì lontani
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Chiaroscuro
Non
posso vivere
senza te
fuori
dal rezzo
di luce
dragomano
dei limpidi
misteri:
Volto
chiaro
volto
scuro
volto
sempre
a me
rivolto
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Lo Gran Mar
Tra mari
di gente
di vessilli
di lanterne
di porto
a porto
o cristo
capitano
di porto
a porto
navighi
tra san
martino
e san frediano
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Tu mi Sei
Mi chiami
dal mattino fino a sera
e non ti sento
Arrivi nei miei
sogni come nebbia
e non ti riconosco
in tanta luce
Dovunque
tu mi segui e mai
ti vedo col
passo di fulmine
e di lampo
Sei la mia
rosa
e niente
so del tuo giardino
Sei
la mia ferita
e medicina
e non so
la cagion di tanta doglia…
Potrei
dire
che tu mi sei
perché
legati da una
estrema ambiguità
Ma
cos’altro
cambierebbe
se tu
mi scacci
mi confondi
e mi spaventi?
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Fiera Trasparenza
al maestro Mario Luzi
un poète doit laisser des traces de son passage, non des preuves.
Seuls les traces font rêver.
René Char
Splendida rinasce
la parola
che vivida di luce
aderge
a forme altiere
cui segue
di ghiaccio ardente
la vita stessa
di quel
martini
pellegrino e cavaliere
perduto prima
(o quasi o vivo
o folle) nel suo
stranito
andare
tra cielo e terra
E in te – figlio e
compagno di quel
sommo duca –
ritrovo il fiero
abisso
di quel volume
universale
più volte squadernato
e vedo
poi estrinsecarsi
quella Pietra
fra duomo
e fiume e ponte
l’apeiron
che rende
vorticosa
ogni tua singola
metafora
in cui non si discerne
la luce
immateriale
dal mondo
trafitto di ghiaccio
e di silenzio
la fiera
trasparenza e il
richiamo di calore
al celestiale appuntamento
(gioia inestinta
d’altri ulissi
folli di quell’ombra
trasparente)
we were the first
that ever burst into
that silent sea –
mare mutolo
e verbo
liquido
da coleridge al sempre
amato hopkins –
celestiali incandescenze
di senso
e desiderio
E di cotali altezze
e tuoni e folgori
sorge la tua parola
come una firenze
ebbra
della sua
stessa tenebra
(di luce)
che muove a più
severi
e labili
confini
la
voragine
di roccia
ove corrono
i fiumi
dell’alta parola
quell’aperta voragine
quel caos
di nubi e di macerie
(selvaggio ostello
di non appartenenza
che ci riporta al suo
destin fugace)
Al cieco
sprofondarsi
della storia
fra stalattiti
e muschio
ove s’apre
l’acqua
di roccia
del
tuo verbo
già riede
la poesia
E quei fiumi
sparsi ad occidente
saran –
figlio e compagno
di quel sommo
duca –
il tuo
sereno
e liquido trionfo
Craiova, febbraio 2003
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Ti cerco a roma
o roma
pellegrina
ma in roma
stessa
la mia roma
più
non trovo
apofatica impossibile
t’affermi nel silenzio
nel buio
ti palesi
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Tace la notte
vegliano i gatti
e dorme la città
Sonno ed oblio
O roma
felix
mi sbaglio al singolare
ti scopro al femminile
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Riguardo a lungo
la scuola d’atene
e mi soffermo
sul platonico timeo
O cielo iperurano
perché
da te viviam
così lontano?
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Al lume
pluriforme
della luna
la quasi idea
o lesbia
in te ravviso
o grazia
scintillante
della sfera
o tessera
perduta
e ritrovata
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Immersa
tra bagliori
e precipizi
la scialba
dea
si svela
e tutto sfiora
O figlia
di latona
io ti rifiuto
divorami se vuoi
lo stomaco lo sguardo
non togliermi
ti prego
l’ambascia
del desio
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Il misto
è un appressarsi
all’essere
(disse
Il filosofo)
non
un andi
rivieni
ma un fiero
e vivo
andare
Che aspetti
mai
o lesbia mia?
sfibbia
quei sandali
leggeri
da’ pace
ai tuoi piedini
battaglieri
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Un ciuffo
di trifoglio e rosmarino
Portami lesbia tra ruvidi
frantoi
e gelide sorgenti
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Da parte
a parte un sottil
richiamo
il raggio la sfera i sentieri
ti cerco ti soffro
Ma prima
di partire
t’indovino
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Una procella
di cavalli
s’avvicina
(e mille
forse e muti
e franti)
a pascolare
sillabe
di silenzi
Stormi di bufere:
trasborda
il fiume testo
O spettri
di cavalli
senza luna
nel silenzio
di Dio
non ci si beve
ci
si annega
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La mia roma
personale
(a che serve
la caducità dell’io
a rivendicarne
la perduta gloria?)
già si dispiega
tra rumori
di promesse e vividi solazzi
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Ad claras
asiae
volemus urbes
disse catullo
ed io t’invito
o lesbia
a sorvolar
città smarrite
ed isole
sovrane
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Poesia:
d’un re
perduto il segno
d’un dio sconfitto
il sangue
eppur nel suo dolor
più forte e saggio
Tepic, 2002
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Poesia
e non poesia
perenne vedovanza
di nomi e d’orizzonti
Puerto Vallarta, 2002
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L’oro dell’ infanzia
e quel colore scuro agli occhi
(chiaro scuro)
La gioia del dolor come trasmetterla?
doamne miluieşte doamne miluieşte
doamne miluieşte
La lingua romena
così mi appare
tra pădurea neagră
e i freschi monasteri di moldavia
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Tardo pomeriggio a sofia
o bucureşti un cenno un canto
lo splendido infinito della tua lingua
un fiore un vis compresi allor da un
solo sguardo
lo sfarzo e l’asfinţit
dell’impero austroungarico
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Il romeno e i sefirot
il gatto che morde la pietra
del silenzio
mentre ripensi a quella torre
sorvegliata
dai custodi
dell’armonia perduta
Lo spazio tra le parole (ti chiedi)
sarà
forse scritto in ben altra lingua?
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Cammini leggermente
e pur non sai se verso i balcani
ai misteri del pantocrator oppure
all’occidente senza dio
Pensi alla gloria del banato
e alle gran vie di un treno
che avrà forse la galassia
come ultimo confine
dopo una zona
di silenzio
e pietra e morso e gatto
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La bellezza del corpo
al numero
appartiene
della divina mente
Le tue mani
stellifere
nel giardino
Lo scintillio
di giove
e quell’albedo
Dovizie
del silenzio
e delle viole
Amica
suora e madre
un sol destino
ci riporta
alla voragine dell’essere
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Smarrito
il volto della parola
tra gli abissi dell’alba
Cerchi la storia della lingua
quel verbo sospeso
tra turchi e fanarioti
quel po’ d’impero
che invisibilmente avanza
verso atene e costantinopoli
mentre aspetti quella roma
quarta ed ultima
izvorul dorului
quel filo di etimologia da sempre smarrito
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Deh, qual furente nume sì rubella
a l’amor mio ti fe’, ché già abborri
il mio penar, i miei sospir, o fella,
e la mia scura sorte non soccorri?
Ne l’imo di cotal mesta procella
io ben veggio ch’al mio vascel non corri
a darmi il chiaro sol di tua favella
e ne l’amaro oblio di me tu incorri.
Ahimé! Ne’ laberinti acquosi io vivo
ad aspettarti, o mai crudel consorte,
e se di nembi d’or alfin son privo,
e la mia trista, ruda, avara sorte
mi toglie alfin ogni piacer retrivo,
impari anch’essa ad abbracciar la morte.
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Questo limpido ciel, mare spumante,
ruscello aurato, fiori, colle chiaro,
sovvengonmi l’amata aurifiammante
e indarno il paragon m’è sempre avaro.
De’ lumi’l ciel racchiude’l foco errante,
del seno’l mar rassembra ’l buon riparo,
del cor il palpitar di rio tremante;
e sul bel crin de’ picciol fior posaro.
E già non so vantar beltà cotante,
né dar tesor unqua più degno e raro
che ’l cor di questo sventurato amante,
a cui solingo & mesto ’l fato amaro
mi fe’ non pago de l’amor d’innante,
poiché tu sei, crudel, druda d’Alvaro.
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La notte è chiara e di soavi accenti
s’ingentilisce da’ baglior di stelle;
di gigli profumati sono i venti,
di viole le colline son più belle.
Vedovo e privo di fatal torrenti
respira’l fiumicel aure novelle
a rispecchiar, tra madidi lamenti,
le stelle in ciel; e’ndarno verso quelle,
innalzan gli usignol il dolce canto,
alle spere del ciel sì bello e puro;
e stendon su la terra un tristo manto
d’ abisso e di silenzio malsecuro:
e’l mio desir nel suo silenzio ammanto,
e fassi’l mio dolor più grave e scuro.
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Sotto i nembi d’amor, pe’ campi d’oro,
i zefiretti delle selve ombrose
destan ricordi al cor, dolce martoro;
e passo le giornate venturose
a rammentar la dea cui tanto adoro,
assiso in grembo a le verdure ascose,
mentre dal nido un augellin canoro
mi fa languir tra gelsomini e rose.
Nel prato boschereccio ove m’assonno
Veggio ’l castel d’amor schiuder le porte
delle vaghezze che durar ben ponno,
finché lo tristo passo della morte
a sigillar s’appresti il grave sonno
di questa vita di caduca sorte.
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Cinzia, non indugiar, già soffia ’l vento,
e’ dolci rai de l’alba senza velo
c’invitano a solcar mari d’argento,
quant’è gentile e senza nube il cielo.
Ogni periglio della notte è spento,
gli austri, la pioggia, i toni, i lampi, il gelo,
e omai di pace ’l mar spira un concento
sì dolce, e di dolzore già m’invelo
ver l’isola d’amor su questa barca,
d’amorosetti spirti e d’or contesta,
al vento mite che la vela inarca.
Cinzia, non indugiar, fatti più presta,
prima che tagli i fil la cruda Parca
di nostra picciol vita vana e mesta.
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Giardini del Sonno
The glory of evening was spread through the West
Wordsworth
Quel gran silenzio
che precipita dal cielo
esterrefatto di azzurro
quel gran silenzio
che s’accalca nelle ombre
sanguigne del tramonto
quel gran silenzio
che regge la tema degli angeli
tra nubi di ferro e follia
quel gran silenzio
che arrovella e inaridisce
la terra di lacrime spenta
quel gran silenzio
che rade la nebbia dei giorni
e la malinconia dei buoi
quel gran silenzio
verso cui
tende
la selva di rumori
che ci strazia
e ci fa guerra
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Tra due orizzonti
pallidi e sottili
angeli scontrosi
vaghi di viole
tra due sfere
d’ugual circonferenza
raggi silenziosi
sperduti sulle aiuole
tra due labbra
di nube e d’acciaio
bossi odorosi
schegge di parole
E spesso
un logorio di larve e di parvenze
secerne
vecchi pianti d’erransa
vani e scuri colloqui nell’ombra
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Cavallieri del sonno
attendono mercede
sacerdoti del nulla
sfiorano sembianze
scheletri di chisciotti
schermano dulcinee
bave di basilisco
sbattono le fiamme
serpenti sensitivi
tendono agguati
battelli spettrali
spaccano il buio
E le vele del sonno
seguono senza sorte
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Ben so ch’è giunta l’ora
e non mi volgo ancora
alle alture del cielo
bucate e senza velo
agli sbuffi del drago
sui margini del brago
al cosmo di platone
nel sogno di scipione
ai travi rosseggianti
dei fondachi distanti
al cerulo licorno
nel rantolo del giorno
agli abissi del mondo
per iscrutargli il pondo
al vorticoso mare
che non mi fa tornare
a quella ardita nave
pacifica e soave
in mezzo alla procella
che sfiata del tuo cuor
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La chiesa
di san frediano
a lucca
stremata
di silenzio
e d’oblio
è la dimora
a cui rivolgo
le mie inutili
brame
di riposo
e di pace
Ivi è celata
la nostalgia
delle
mie ossa
e dei miei
tormenti
Sarò uno
delli anzian
di santa zita
e berrò il molle
lume del
mar rosso
E le mie
ossa
e i miei sogni
inutili
riposeranno
in pace
Perché i pisan
veder lucca
non ponno
In pace
ascoso
nel molle
lume
del mar
rosso
Perché i pisan
veder lucca
non ponno
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Tutta la sfera varcano del fuoco
ed indi vanno al regno della luna
Ariosto
La doppia meraviglia
del paladino astolfo
fu quella di scoprire
un mondo alterno
di stelle spente
e sogni sparsi
Damigiane
e serbatoi
d’antimateria
rocchi
di corone
ruina
di castella
libri scomparsi
come di proclo
altri inescritti
di vani amori
(Usignoli
metacantano
ombre smarrite
nei plurimondi)
Nel chiaro stagno
il senno d’orlando
nuovi segreti svela nuovi silenzi
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Dalle foglie ai cespugli
sfarfalla una farfalla
al soffio della sorte
E spira sulla soglia
la folla che s’affolla
al vento della morte
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Contro Tommaso
Una goccia si confonde
nei mari dell’immensità
e si dissolve nelle onde
la materia di quantità
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Quella solinga margherita
tra i labirinti di damasco
a ragionar d’amor m’invita
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Mari di silenzi
e scogli di stele
approdo a mar mussa
─•─ ● ─•─
Oscura sussistenza delle cose
un’oasi di pianto mi rischiara
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Tra fumi di narghilè
le ceneri del giorno
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Da Nev’i Zadé Atayi
sütûnu edip âsmani güzar
Sorpassa i cieli la sua colonna
magione chiara di nubi d’oro
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Da al-Maari
la morte è sonno che mai non resta
e’l sonno è morte che ben si sfà
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Un gatto
sovra i tetti
mi guarda
come un dio
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Confini di fiamme
presagi di pianto
e non un dio
che ti possa accogliere
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Svelami tu arianna
nel dedalo notturno
la mia casa lontana
─•─ ● ─•─
a Giuseppe Cordoni
Cerco pei chiari
dintorni di siena
tra pietre e ponti
il vecchio palazzo
del duca
abbrunato sui monti
il grigior
delle ombre
nell’ultimo girone
lo sbadiglio
accorato
del leone
le orme
perdute
di due pellegrini
e i pallidi
volti
dei serafini
il volo
del girfalco
tutto d’oro
sui neri
campi
del martoro
la terra
trasognata
di sorìa
e l’anima
che sola
sen gìa
al pianto
della Pia
amaroscuro
o colli chiari
sopraffatti
d’azzurro
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Nel chiaro silenzio
la gazza turchina
nel lume degli astri
due volti inesatti
nell’oro del meriggio
l’equivoco del sonno
nel pallido giardino
la quiete delle rose
nei campi dell’oblio
l’esangue fontanina
E quel brusio di cose
che breve finirà
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Perdesi l’amator della notte
a ricercar i villaggi del sonno
─•─ ● ─•─
Contro Averroè
Fiamma riemersa dal buio
numero effuso dall’insieme
angel smagliato dall’ordine
e quegli atomi d’ulisse
che stan per arrivare ad itaca
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Esilio
Da quando
sei passata
al nero
varco
del sonno
(follore
di frale
destino)
provo
una
strana
quiete
sazio
di quel nulla
che m’agghiada
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Non ti penso
scuro veleno
non ti parlo
arida fauce
non ti sento
pallida voce
non ti saluto
orrida sorte
ma so
che tu
mi pensi
erransa
mi parli
affrantura
mi provi
inganno
mi scansi
speranza
─•─ ● ─•─
Luogo d’ombre
spettri caligine
larve di sogni
lungo la valle
malsana
dei sonniferi
lucida stella
vortice di vento
Fiammiferi
risvolto
d’altro buio
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